a cura del M° Lucio Maurino – Le origini del Karate hanno radici antichissime, in particolar modo al Kenpo cinese, al Kenjutsu / Jujutsu giapponese, e sono fortemente legate al combattimento per la sopravvivenza poiché lo scopo primario del Karate era quello di difendersi dai malintenzionati mettendoli fuori combattimento con un solo colpo o movimento. Per ottenere ciò era indispensabile la conoscenza dei punti vitali (Kyusho), la precisione e la giusta concentrazione di forza nei colpi.
La realizzazione di tale obiettivo passa inevitabilmente attraverso una pratica che va necessariamente svolta considerando tre livelli di studio:
· SHIN – Interiore (Mentale e Spirituale)
· GI – Tecnico (Organizzazione dei segmenti corporei, nello spazio e nel tempo, finalizzata ad uno scopo)
· TAI – Fisico (Armonizzazione delle nostre azioni – contrazione ed espansione – nel tempo e nello spazio).
Infatti, così come le altre arti marziali appartenenti al BUDO che seguono la SHINKAKU NO MICHI (La Via dei Principi Etici e Morali), il Karatedo ha come comune denominatore lo studio del pianeta uomo e le sue capacità psico-fisiche in armonia con le leggi universali. Migliorare solo la tecnica senza migliorarci come individui significa non aver compreso la Via (DO): vivere in armonia con quello che ci circonda, e quindi coltivare una piena realizzazione personale e sociale.
Ciò rappresenta la filosofia delle Arti Marziali giapponesi legate al BUDO, anticamente studiate attraverso tecniche di meditazione e movimenti del corpo predefiniti (KATA). Questo è stato perpetuato fino ad oggi dai grandi Maestri.
Sia nella metodologia che nel programma tecnico non devono esistere competizioni di sorta, ma bisogna basarsi essenzialmente sul senso del rispetto di sé e degli altri. Questo concetto deve essere garantito dall’etichetta (REIGI o REISHIKI) e dalla gerarchia che fanno del Karatedo una scuola di impegno fisico, psicologico e morale per eccellenza dove vengono esaltate non la supremazia sugli altri (competizioni) ma quelle qualità insite in ogni individuo che sono la costanza, l’impegno e la determinazione.
I passaggi di grado indicano il progressivo miglioramento degli allievi e, allo stesso tempo, li aiutano a prendere conoscenza delle proprie qualità e dei propri limiti. Gli esami, intesi in tal senso, sono quindi un sistema non tanto di valutazione tecnica ma un mezzo per meglio conoscersi attraverso una sincera autocritica. Il senso della prova d’esame, va quindi al di là del fatto di essere ammessi ad un grado superiore o meno, ma deve aiutare a migliorare passo dopo passo quella “Via” che in definitiva è la nostra stessa esistenza. Lo studio della tecnica, l’abilità e la maestria sono solo il mezzo attraverso il quale cerchiamo di migliorarci come individui.
La pratica del Budo è un processo di realizzazione che dura tutta una vita. Ognuno deve applicare i valori appresi nel Dojo alla vita di ogni giorno, questa è la Via (DO). Insegnare questo stile di vita è un lungo viaggio che trascende ogni cultura, religione o orientamento politico, e che rappresenta un contributo prezioso per tutto il genere umano.
Oggi le Arti Marziali sono integrate nello Sport come attività educative e formative, e sono praticate anche per migliorare la forma fisica, per questo motivo hanno riscosso una vasta popolarità in tutto il mondo. Tuttavia è importante sottolineare che l’essenza del KARATE-DO, “La Via della mano vuota” (KARA = VUOTO, TE = MANO, DO = VIA), risiede nella ricerca profonda della sua forma d’arte, dove in ogni tecnica si utilizza il corpo nel suo insieme, per raggiungere elevati livelli di efficacia, precisione ed essenzialità coma la lama di una katana (spada giapponese).
La tecnica, ripetuta giorno dopo giorno, è quindi non solo strumento per affinare abilità fisiche e mentali, ma una pratica che aiuta ad un profonda comprensione di se stessi e degli altri, con un approccio olistico, tipico delle discipline marziali dove si richiede massimo controllo delle proprie emozioni e limpido stato d’animo, ossia unione tra “mente, corpo e spirito,” su cui poggia la tradizione del BUDO giapponese.
A differenza del periodo in cui si diffuse da Okinawa a tutto il Giappone, e poi in tutto il mondo, oggi il Karate-Do si è sempre più orientato verso la promozione delle competizioni (principio della “Tecnica della Vittoria”). L’idea fondamentale del combattimento (KUMITE) e delle forme (KATA) di Karate, come sport moderno, risiede in quanti punti vengono realizzati in un certo tempo o in quanto una “performance” possa essere migliore di un’altra. Ciò comporta determinare un vincitore, il ché rende facile per lo spettatore la comprensione di questo processo. Tuttavia questo aspetto presenta un evidente dilemma: la ricerca dell’Arte attraverso la cultura tradizionale o la pratica del Karate come Sport?
Considerando le finalità, gli obiettivi, la didattica strutturale dell’insegnamento e la pratica, si può desumere che il perseguimento di uno di questi scopi tende ad escludere l’altro. Proprio per questa ragione è di notevole difficoltà il connubio di entrambi gli aspetti. Tuttavia è importante ricordare che il segreto per la realizzazione della tecnica perfetta nell’arte del Karate, si trova in una pratica intensa e continua delle basi (KIHON = Fondamentali del Kata/Kumite), dei modelli predefiniti di combattimento (KATA = Forme), delle loro analisi e applicazioni (BUNKAI e GOSHIN-JUTSU) e del combattimento libero (KUMITE), che abbinati a creatività, ricerca e introspezione forniscono strumenti indispensabili per un proficuo apprendimento dell’arte del Karate.
KATA
Kata (giapponese 型 o 形, traducibile con forma, modello, esempio) nelle arti marziali indica, sotto il profilo tecnico, una serie di movimenti preordinati e codificati che rappresentano varie tecniche e tattiche di combattimento evidenziandone i principi e le opportunità di esecuzione.
Sotto un profilo interno, invece, la pratica del kata mostra la capacità del praticante di vivere il momento, di far vibrare le corde più profonde del proprio corpo esercitando un autocontrollo sulla respirazione e ricercando una efficacia nelle tecniche, armonizzando tutto il kata in un qualcosa di più che un semplice schema.
I kata esistono nel Karate, nel Judo, nel Jujitsu, e all’interno della pratica di diverse scuole antiche di armi giapponesi come Iaido (via dell’estrazione della spada giapponese), Jodo (bastone di 128 cm utilizzato contro la spada) e Naginata (alabarda). Il kata preserva, quindi, una tradizione tecnica e allo stesso tempo un
a tradizione culturale.
L’esercizio del kata non si pratica solo nelle discipline marziali, ma in tutte quelle arti tipiche del Giappone che abbiano come fine il dō (道), la “via”: Jūdō (via della cedevolezza), ken-dō (via della spada), Kyudo (via dell’arco), Aikido (via dell’armonia), ma anche Shodo (via della calligrafia), Kado (via della composizione floreale) e Sado (via della cerimonia del thè). In tutte queste discipline ci si propone di fondere, attraverso la respirazione, le componenti fisica e mentale eseguendo una predeterminata sequenza di gesti (tecnica) per raggiungere una più elevata condizione spirituale.
Ogni kata è composto da una serie di movimenti che ne costituiscono la caratteristica evidente, ma presenta altri elementi che sfuggono alla comprensione più immediata: i maestri che li hanno creati hanno spesso volutamente mascherato il significato di alcuni passaggi per evitare che altri se ne impadronissero. Per esempio i kata vennero mimetizzati in danze innocue, nel periodo in cui ad Okinawa vigeva la proibizione di praticare le arti marziali.
KUMITE
Il kumite è una delle tre componenti fondamentali dell’allenamento nel Karate, assieme a kata (con relative applicazioni) e kihon (studio dei fondamentali), e consiste nel combattere con un avversario in diverse modalità.
Il termine giapponese kumite viene tradotto con la parola combattimento, però tale termine è incompleto, cioè privo degli elementi compresi nel concetto di kumite. Kumite si compone della parola kumi, che significa “mettere insieme”, e della sillaba te, che significa “mano”. Per kumite si intende quindi l’incontrarsi con le mani: nel confronto reale come in quello di palestra è necessario un avversario. Lo scopo del vero combattimento è quello di abbattere l’avversario, quello del kumite è la crescita reciproca dei praticanti.
Il kumite presuppone due fasi ben distinte: l’apprendimento delle tecniche dal punto di vista formale e la loro applicazione. L’importanza che riveste la forma (kata) in funzione del combattimento è quindi fondamentale, perché racchiude le basi del karate. La filosofia del karatedo impone di migliorarsi continuamente per ricercare la massima padronanza tecnica e mentale, così da raggiungere equilibrio interiore, stabilità, consapevolezza. Per allenare il combattimento, nel senso del karate-do, vengono studiati diversi tipi di kumite fondamentale: combattimento a cinque passi, a tre passi, a un passo, semilibero, libero, etc..
GOSHIN JUTSU
Nella sua forma più antica denominata GOSHIN JUTSU, il Karate è specificamente studiato per la difesa personale. La parola goshin è composta da ‘GO’, tradotto come proteggere o difendere e ‘SHIN’, tradotto come corpo, sé stesso, uomo, mentre JUTSU significa arte, metodo, tecnica.
E’ la forma concreta ed essenziale del Karate inteso come metodo di combattimento totale in cui si impara a controllare e neutralizzare un attacco di uno o più aggressori e ad eseguire la tecnica più appropriata con la massima potenza nel lasso di tempo più breve.
E’ necessario quindi la conoscenza dell’anatomia del corpo umano e dei vari punti sensibili e vitali, eredità della medicina orientale, che permettono anche a persone non particolarmente dotate fisicamente di poter prevalere contro avversari più forti e prestanti.
La pratica e l’allenamento trasformano le varie parti del corpo in armi che possono consentire la supremazia in un combattimento. Quando l’obbiettivo principale è la neutralizzazione del nostro avversario, si ricorrerà infatti ad ogni possibile parte del corpo con cui si renda necessario colpire il nostro aggressore.
Si parla di aggressore perché, per quanto nel Karate siano previste tecniche per attaccare, non rientra nello spirito e nella filosofia del Karateka colpire per primo ma solo se aggredito (principio: “Karate ni sente nashi”).
Il Goshin Jutsu, anche considerando le differenti doti fisiche, tecniche e psicologiche di ogni individuo, implica necessariamente una pratica costante nel tempo che serve a stimare la propria zona di influenza, il concetto di distanza e tempo, l’uso degli spostamenti e soprattutto il controllo, tutti punti fondamentali nello studio della difesa personale.
Non bisogna dimenticare, però, che il proprio movimento è la manifestazione del proprio spirito. Per tale ragione una pratica corretta deve prevedere lo studio di diversi aspetti tra loro interdipendenti come il rilassamento fisico e mentale, l’uso corretto della respirazione (kokyu), la visualizzazione, la concentrazione, la meditazione, gli spostamenti (ashi-sabaki, tai-sabaki), le cadute (ukemi), le posizioni (tachi-kata), le tecniche di percussione (atemi waza – tsuki, uchi, hiji, keri), la conoscenza delle zone bersaglio e dei punti vitali (kyusho), le tecniche di parata (uke-waza), l’allenamento all’impatto (makiwara, scudo, colpitori, sacco, ecc.), gli squilibri (kuzushi-waza), gli proiezioni (nage-waza), leve articolari (kansetsu/tuidi-waza), le evasioni e controtecniche (gyaku-waza), il controllo e le immobilizzazioni (katame-waza), gli strangolamenti/soffocamenti (shime-waza), la lotta a terra e la sottomissione (ne-waza), la tattica e la strategia del conflitto (heiho), l’intenzione che guida l’energia (kime-waza), la dinamica delle tecniche, la fluidità e la continuità nell’azione (renraku/renzoku-waza), la coordinazione, l’equilibrio, la mobilità articolare e la flessibilità.
Solo così il Karatedo diventa una via di autorealizzazione, in cui il corpo, la mente e lo spirito si fondono in armonia con la natura e il fluire dell’energia dell’Universo.